Abbiamo appena scoperto che starsene serenamente seduti alla scrivania a leggere le email produce un consumo d’acqua che potrebbe essere impiegato in altri modi, ad esempio per fare una doccia.
Sembra surreale, ma, ebbene sì, gironzolare su internet comporta un consumo di acqua di cui probabilmente nessuno di noi era a conoscenza.
Vediamo di cosa si tratta. In realtà la questione sembra essere alquanto complessa, ma il concetto che vi è alla base è piuttosto essenziale: il surfare sul web, il download di documenti, i video in streaming, insomma il continuo scambio di dati genera un surriscaldamento dei data center disseminati nei posti più disparati. Queste selve intricate fatte di server e computer lavorano praticamente senza sosta, generando una quantità inimmaginabile di calore. Il calore per essere dissipato ha bisogno di raffreddamento. E cosa viene utilizzato per raffreddare? L’acqua. Ed ecco che per un singolo gigabyte scaricato possono essere necessari fino a 200 litri di acqua.
Sono stati i ricercatori dell’Imperial College di Londra a pubblicare recentemente questa interessante analisi sui consumi energetici dei data center: lo studio è ancora preliminare, come gli stessi ricercatori hanno dichiarato alla BBC, ma di certo sta producendo un notevole impatto sull’opinione pubblica. Per comprendere quanta acqua è stata utilizzata, gli studiosi hanno impiegato le metodologie connesse al cosiddetto indicatore Water Footprint, ossia l’impronta idrica che consente, in seguito a determinati calcoli, di individuare il quantitativo di acqua consumata, inquinata ed evaporata per consentire il corretto raffreddamento dei centri dati. Pare che un traffico di dati in uscita dai data center è capace di dar vita ad una Water Footprint variabile da 1 a 205 litri per ogni gigabyte. Naturalmente i fattori che entrano in gioco per il calcolo del Water Footprint possono diventare tantissimi: dalle temperature esterne, alla posizione geografica degli stessi data center. In ogni caso una certa sensibilizzazione sul tema costituisce già una significativa vittoria per tutti gli ambientalisti.
Del resto già molti big dell’IT si sono mossi in una direzione green per limitare i consumi, ripiegando sulle rinnovabili o addirittura spostando le stesse strutture in aree caratterizzate da climi più rigidi. Nei grandi data center iniziano ad essere impiegati sistemi di raffreddamento ad aria, in parallelo uso dei tradizionali a liquido. Facebook, sempre attenta alle tematiche ambientali, già nel 2013 aveva aperto il suo data center Lulea in Svezia in prossimità del Circolo Polare Artico; un altro in terra irlandese si avvale dell’energia eolica. Mamma Microsoft sta pensando di rifugiarsi in fondo al mare, con la messa a punto di un centro sottomarino. Quelli di Apple sfruttano per molte delle loro strutture dati il 100% di energia rinnovabile.
Attualmente più del 15% della popolazione non dispone di accesso all’acqua pulita: per questo motivo, adesso più che mai, è da irresponsabili non considerare l’impatto dei consumi idrici correlati all’utilizzo del web. Dunque proviamo a non sottovalutare il problema e magari evitiamo di guardare il Trono di Spade in streaming dentro la vasca da bagno.