Loghi senza scritta: benvenuti nella nuova era della comunicazione
Come avrete notato, negli ultimi 10-15 anni si è affermata quella tendenza che coinvolge ormai una buona parte delle aziende in merito al modo in cui queste comunicano il proprio marchio: dal simbolo grafico con tanto di lettering coordinato - la scritta, per intenderci - si sta passando gradualmente verso una tipologia di lettering sempre meno invasiva.
Il lettering in molti casi finisce proprio per scomparire lasciando spazio esclusivamente al simbolo grafico, progressivamente più schematico ed essenziale.
Ne parlava l’Atlantic, fortunato mensile americano, con l’articolo “The Age of the Wordless Logo”, l’epoca del logo senza scritta, discutendo dell’emblematico caso di Mastercard, il colosso newyorkese dei servizi finanziari, che a metà luglio 2016 ha svelato al mondo il suo nuovo marchio. La celebre scritta Mastercard in bianco all’interno dei due cerchi affiancati, uno rosso e uno giallo, è stata spostata all’esterno dei cerchi stessi, rivoluzionando il modo di concepire il marchio medesimo, la cui riconoscibilità è adesso affidata quasi esclusivamente al simbolismo dell’immagine. Altri conclamati esempi sono quelli di McDonald’s, Shell e Nike, come si può ben osservare seguendo la storia evolutiva della grafica dei loro marchi.
Questa inclinazione alla semplificazione può essere inserita in un più ampio processo che ha motivazioni di tipo economico, tecnologico e, se vogliamo, anche psicologico. Certamente un marchio composto dal solo simbolo, senza nessun tipo di scritta, è ben più facile da adattare agli schermi dei diversi dispositivi che utilizziamo giornalmente; il solo simbolo grafico è di per sé più internazionale e comprensibile istantaneamente da chiunque senza problemi legati all’eventuale tipo di carattere usato - si pensi al cirillico, agli ideogrammi delle lingue orientali, ai caratteri delle scritture arabe. Inoltre un logo senza lettering è percepito dai più giovani come più moderno e attuale, e magari anche più facilmente confacente a qualsiasi tipo di impresa, dato che, come osserva correttamente l’Atlantic, viviamo in un’epoca in cui non è da considerare strano se un’azienda decida di produrre sia smartphone che lavatrici.
Ulteriormente, le imprese che si affidando ad un nuovo logo senza scritta hanno la possibilità di provare a riposizionarsi sul mercato con un approccio differente, sulla scia del tanto decantato fenomeno del “debranding”, molto caro agli esperti di marketing degli ultimi anni. Tutto rientra nel rendere l’azienda più personale e a misura di consumatore: è ben più rassicurante confidare in una semplice mela stilizzata, naturalmente stiamo parlando di Apple, che in un logo magari ben più complesso, fatto di numerose scritte, con ombre e tanti colori, promosso da un’azienda di cui inevitabilmente finiremo per non ricordare il nome. Non a caso la notissima campagna di debranding messa a punto da Coca Cola, che ha previsto sulle bottiglie e le lattine la sostituzione del nome dell’azienda con i nomi di persona e poi con altre parole, ha permesso ai bibitari di Atlanta di aumentare le vendite del 2%, dopo un trend negativo durato più di 10 anni.
Quindi, attraversando un momento storico in cui il consumatore inizia ad essere sempre più legato alle aziende che mostrano un carattere più autentico e genuino, rispetto a quelle imprese dall’atteggiamento più statico ed istituzionale, sarebbe opportuno che i responsabili del marketing di queste ultime inizino a considerare delle strategie che prevedano la riduzione di questo gap prima che possa diventare troppo tardi. Magari partendo proprio da una semplificazione del logo.
Informazioni aggiuntive
- Fonte: The Atlantic
- Link: The Age of the wordless logo